Capitolo 1: Un DNA sportivo

L'Alfa Romeo ha sempre avuto una tradizione sportiva.

Non solo per le auto da competizione che l'hanno resa famosa, ma anche per aver saputo portare quella particolare “anima corsaiola” nelle auto di tutti i giorni.

Già prima della guerra si era distinta con modelli come la “6C”, nelle sue motorizzazioni 1500, 1750, 2300, berline sportive ma, a seconda delle carrozzerie che venivano allestite, anche molto eleganti. Alcuni di questi esemplari vincono tutt'ora i concorsi di bellezza per le auto d'epoca, ma a guardar sotto il cofano si scoprono soluzioni meccaniche e motoristiche d'avanguardia, per l'epoca in cui furono progettate.

Il progettista fu il grande Vittorio Jano.

Dopo la guerra, al momento di riprendere la produzione, si tentò di ripartire dalla 6C 2500, dotandola di una carrozzeria berlina prodotta direttamente in casa Alfa, e addirittura progettando un nuovo modello, molto innovativo sul piano meccanico, la 6C 3000, che , nella storia della nostra “Alfetta”, ha avuto un ruolo importante, come vedremo fra poco.

Tuttavia il mercato voleva auto meno lussuose e più adatte alle “sgangherate” strade italiane del dopoguerra.

Fu così che nel 1950, da una felice intuizione del direttore del “reparto progetti”, l'Ing. Satta, nacque la famosa 1900, ricordata da tutti come “l'auto di famiglia che vince le corse”.

Più o meno nello stesso periodo riprendeva vigore la presenza sportiva dell'Alfa Romeo nel mondo corse: le mitiche Alfa “tipo 158” (nata già nel 1938 e ancora regina indiscussa) e, più ancora, Alfa “tipo 159”, del 1950, due superbe monoposto da competizione, dominavano su tutti i circuiti. Queste due monoposto parteciparono a 54 gare e ne vinsero 47.

Gli anni 60 furono gli anni del boom economico, e all'Alfa Romeo non si fecero trovare impreparati: furono gli anni delle mitiche Giuliette, dello spider 1900,, derivato dalla famosa 1900, e poi, a seguire, le diverse versioni della Giulia. Auto che hanno fatto la storia dell'automobilismo italiano e non solo.

Alla fine degli anni 60 però occorreva un nuovo progetto, soprattutto occorreva una nuova berlina con il DNA sportivo Alfa. La storia delle Giuliette e Giulia era arrivata al capolinea con gli eleganti e grintosi modelli 1750 e 2000, ma ormai era il momento di voltare pagina.

Come spesso accade le grandi novità nascono da idee di molti anni prima.

Abbiamo accennato alla “6C 3000” e alla 1900.

La 6C venne progettata dal solito “reparto progetti” dell'ing. Satta. Le parti meccaniche vennero curate da Giuseppe Busso. Satta e Busso scelsero, per le sospensioni, un particolare “Ponte de Dion”, ancorato anteriormente e in basso, e un parallelogramma di Watt. Vicino al differenziale erano i freni posteriori (a tamburo). Era lo stesso schema dalla 1900, e fu il primo pezzo del mosaico che 20 anni dopo portò all'Alfetta, ad eccezione del tipo di freni che erano a tamburo e non a disco.

La 6C 3000 non ebbe un grande successo, come già detto, ma fu la base per alcune evoluzioni sportive.

Particolarmente importante per la nostra storia fu la “2000 Sportiva” del 1954, costruita nell'officina di Giuseppe Bertone, che alla soluzione del retrotreno abbinò un avantreno a quadrilateri trasversali.

Questa vettura aveva un eccellente comportamento stradale, ma l'officina Bertone non aveva gli impianti per costruirla in serie, e all'Alfa nel frattempo erano concentrati sulla Giulietta 1300, che sull'anteriore utilizzava anch'essa i quadrilateri trasversali, ma con un posteriore più “tradizionale”, ad assale rigido.

Nel 1967 fu deciso di sviluppare il nuovo progetto per la berlina di fascia media. Il progetto fu chiamato “Tipo 116”, (se questo numero non vi dice nulla, allora non avete mai avuto fra le mani un libretto di circolazione di unaAlfetta). La parte motoristica poteva già contare su una buona base di partenza, il bialbero della Giulietta e delle sue derivate, ma la meccanica andava ripensata.

Il reparto progetti ebbe mano libera, come raccontato in una intervista dell'Ing. Busso:

Anche a Milano si parlava di una vettura nuova, una nuova Giulia; era il marzo 1967, quando Satta sfogava spesso con me la sua amarezza per non essere stati noi interessati al progetto della vettura del Sud. Per la nuova macchina ci venne data libertà per tutta la meccanica salvo che per il motore, che avrebbe continuato ad essere il vecchio buon 4 cilindri del 1954; cilindrata sui 1800 cc.

La sospensione posteriore venne scelta nel corso di una memorabile seduta di prove, nel giugno 1967, nella zona collinosa prossima al Passo della Futa. Vennero poste a confronto due GTA con motore 8 cilindri e ciascuna con una diversa sospensione posteriore indipendente, la 2000 Sportiva con il suo De Dion; la bella addormentata dal colore dell’argento giaceva da oltre 10 anni nel deposito dal quale sarebbe poi nato il Museo.

Venne ripescata, messa a punto e munita di una gommatura aggiornata; e nelle rudi prove sulle strade fra Pian del Voglio e Firenzuola ebbe la meglio l’arzilla vecchietta, a giudizio unanime di Sanesi, dell’ing. Fanti delle Esperienze e mio.

Sono sicuro che Sanesi non fu influenzato in quella occasione dal ricordo della Mille Miglia 1953, quando con una 3500 munita di una identica sospensione posteriore si era permesso, prima di ritirarsi per un guasto al telaio, di arrivare a Pescara in testa alla corsa precedendo di 5 minuti la prima Ferrari, la 4500 di Farina. Certo però che, quel giorno, il pensiero di tutti noi andò alle vicende di quegli anni lontani, ad altre rose non colte o colte male.

Si partì così con il De Dion, aggiungendo il cambio in blocco con il differenziale; la nuova vettura si chiamava 116, la futura Alfetta, futura nuova Giulietta, futura Alfa 90 futura Alfa 75.